«La fine del turismo?» si interrogava l’estate scorsa il Guardian. L’industria dei viaggi è tra quelle che più sta risentendo degli effetti della pandemia, con un crollo degli arrivi internazionali del 65% nel primo semestre dell’anno, secondo i dati diffusi nel giugno scorso dalla World Tourism Organization. Che si traduce in una perdita di 460 miliardi di dollari. E dalla crisi stanno emergendo trend che in futuro potrebbero non solo aiutare il turismo a sopravvivere ma anche trasformare vecchi modelli di sviluppo, ormai insostenibili.

Digitalizzazione

Come in tutti i settori una forte spinta arriva dalla digitalizzazione, per migliorare la sanificazione, garantire percorsi rapidi e chiari riducendo il tempo di permanenza nei luoghi, il monitoraggio degli accessi, la biometria degli aeroporti. «Tutti hanno investito sulla digitalizzazione del journey a partire dalle prenotazioni, sino alle esperienze in loco, dove per esempio negli affitti brevi si predilige il checkin senza chiavi» commenta Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio Innovazione digitale nel turismo del Politecnico di Milano intervenuta al Ttg di Rimini, offrendo una panoramica della situazione italiana: l’ecommerce del travel si fermerà quest’anno a 4,8 miliardi, segnando un -56% sul 2019.

N elle strutture ricettive il digitale assumerà sempre più rilevanza in risposta a un maggiore bisogno di sicurezza sanitaria e di benessere dei viaggiatori, ha spiegato la semiologa Laura Rolle nell’ambito della Vision Ttg 2021. È il caso di device come Oculus che immergono il fitness in ambienti fantascientifici, o della Autonomous Sensory Meridian Response che, anche in questo caso con caschi o cuffie, interagisce con la percezione del mondo esterno e cambia l’idea di spa rendendola un’esperienza mentale.

Neverending tourism

Lo aveva già fatto Airbnb: ora dal mese scorso anche Amazon ha fatto ingresso nelle esperienze virtuali (per ora solo negli Stati Uniti), dando la possibilità da remoto di imparare a cucinare la pasta alla bolognese con uno chef italiano o girare per Tokio accompagnati da una guida locale. E ancora nel giugno scorso è stato firmato un accordo tra Musement, startup italiana acquisita dal tour operator tedesco Tui, per fornire le proprie esperienza su Booking. «Una delle opportunità da percorrere per il settore è quello dell’offerta di contenuti e servizi in digitale. Lo potremmo definire neverending tourism – spiega Lorenzini – L’idea è rendere il viaggio continuo, non si esaurisce con il soggiorno in loco ma vengono proposte esperienze prima e dopo, con il digitale. Non è fenomeno nuovo ma ancora non strutturato. In questo modo la relazione con il cliente diventa di lungo periodo e si diversifica l’offerta».

Destinazioni minori

Che la preferenza forzata delle destinazioni minori, la scorsa estate e la prossima, porti a ripensare radicalmente il turismo? Renderà più sostenibili mete sovraffollate come Venezia, Roma e Firenze, si chiedeva il Guardian, ricordando le derive dell’overtourism? «Il turismo di massa ci sarà sempre – risponde Lorenzini – ma di certo questo momento pone una riflessione alle città in termini di offerta, di come ripensare le loro politiche di gestione dei flussi. E le destinazioni minori, se vogliono trarre vantaggio su lungo periodo, devono strutturare meglio l’offerta con prodotti ed esperienze». Gli stessi tour operator hanno diversificato i pacchetti proponendo più destinazioni domestiche. «Da tempo c’è una domanda di viaggi trasformativi, con esperienze che lasciano il segno da parte di una classe culturale e creative che ha buone capacità di spesa – osserva Emma Taveri, ceo di Destination Makers, – E ci sono destinazioni che si possono ripensare assieme alle fondazioni di comunità o altri soggetti del territorio affinché il turismo abbia finalmente un impatto economico e sociale positivo e diffuso, rigenerando luoghi e comunità stesse».

Smart working

Le mete italiane sono state prescelte non solo per la vacanza ma anche per allungare il soggiorno lavorando in smart working. Una tendenza che si conferma per i prossimi mesi: due lavoratori del terziario su tre starebbero infatti pianificando di lavorare da remoto per un periodo di tempo lontano dalla propria residenza, secondo un sondaggio commissionato da Airbnb a Points/OnePoll.

Sulla destinazione sta lavorando la città di Brindisi candidata a capitale dello smart working. Questa estate è stata lanciata l’iniziativa “Sea Working. Vinci un ufficio sul mare”. Ottocento persone da ogni parte d’Italia e dall’estero hanno inviato la candidatura. «Studiando le tendenze dei viaggiatori durante il lockdown e post-Covid sono emersi chiaramente lo smart working e nuove opportunità per le aree marginali» racconta Taveri, «Abbiamo deciso di donare a Brindisi questa campagna di marketing per attrarre l’interesse nazionale rispetto al tema – aggiunge Taveri – Questo è solo l’inizio. Assieme al Comune, alle startup, agli operatori turistici, alle associazioni di categoria stiamo lavorando per individuare servizi e offerte per lo smart working, dagli alloggi alla scontistica, dal noleggio barche a sgravi fiscali per quelle aziende che scelgano la città per il loro smart working». L’idea è che questa tendenza, prima sotterranea, e poi emersa con Covid diventi strutturale a beneficio di tutto il territorio. E magari non solo a Brindisi.