Un altro modo per valutare il reale impatto del COVID19 sui nostri sistemi sanitari è confrontare quanti e quali farmaci abbiamo utilizzato (e quindi acquistato) nella fase acuta della pandemia rispetto al periodo precedente.
Il 29 luglio scorso AIFA ha pubblicato un rapporto passato in sordina nel mainstream dell’informazione (era sfuggito anche a noi di Infodata), ma molto interessante, dal titolo Rapporto sull’uso dei farmaci durante l’epidemia COVID‐19 Anno 2020, che mostra i trend di acquisto dei farmaci usati per curare i malati di COVID a vario titolo (uso compassionevole, uso off-label, studi sperimentali, ecc.), e quello degli altri farmaci. L’obiettivo è quello di analizzare la tipologia di medicinali utilizzati per fronteggiare il COVID-19, e di capire se e dove ci sono stati deficit nell’erogazione dell’attività ospedaliera “tradizionale”, per esempio nell’ambito delle cure oncologiche.

Due precisazioni:
1. I dati di acquisto dei farmaci sono stati analizzati in rapporto al numero di soggetti risultati positivi al COVID-19, per ciascuna regione, estratto dai dati pubblicati dalla Protezione Civile al 31/05/2020.
2. Con l’espressione “off-label” si intende l’uso clinico (controllato) di farmaci al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti per una certa patologia. Con “uso compassionevole” si intende invece l’uso di un medicinale attualmente sottoposto a sperimentazione clinica, al di fuori della sperimentazione stessa, se i pazienti sono affetti da malattie gravi o se si trovano in pericolo di vita e non ci sono altre soluzioni.

Con che farmaci abbiamo curato il COVID?

Primo risultato: in una prima fase abbiamo assistito a un incremento importante dei consumi di medicinali fuori indicazione terapeutica: in particolare idrossiclorochina e azitromicina, di alcuni antivirali e degli inibitori dell’interleuchina . L’incremento maggiore in termini di variazioni percentuali si è riscontrato per l’idrossiclorochina che ha fatto registrare una variazione pari al 4.6%.

È importante tenere presente infatti che questa situazione ci ha colti impreparati e ha richiesto tempi di intervento molto più rapidi dei normali tempi che richiede la scienza medica per studiare la fattibilità dell’uso di un farmaco per una nuova patolgoia. Durante la fase critica della pandemia si sono evoluti i regolamenti di AIFA nell’utilizzo di alcuni farmaci (vedi immagine).

Caption: dalla Presentazione di Maria Paola Trotta

L’idrossiclorochina è un principio attivo presente in prodotti medicinali con indicazione approvata per alcune patologie reumatologiche, quali il trattamento dell’artrite reumatoide e il lupus eritematoso. In questa fase di emergenza ne è stato consentito l’uso off-label per pazienti COVID-19 a partire dal 2 aprile 2020. È l’unico dei quattro principi attivi considerati che presenta un aumento significativo nel periodo post COVID-19, evidente da marzo 2020 rispetto a febbraio 2020. In data 26/05/2020 l’AIFA ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo off-label dell’idrossiclorochina al di fuori degli studi clinici.

Ogni regione ha seguito i propri protocolli terapeutici e le proprie sperimentazioni, ma nel complesso variazioni importanti si sono riscontate anche per l’azitromicina (in particolare in Emilia Romagna e Lombardia), seguita dal tocilizumab e dagli immunosoppressori in generale.
Dall’analisi si osserva che oltre il 50% della variazione è ascrivibile alle regioni con maggiore impatto epidemiologico della malattia, con una distribuzione sostanzialmente omogenea tra di esse. L’utilizzo off-label per il COVID-19 di azitromicina non è mai stato autorizzato dall’AIFA, né in monoterapia né in associazione a idrossiclorochina o antivirali.
Infine, l’uso di tocilizumab, inizialmente somministrato in modo incontrollato attraverso richieste di uso compassionevole, è stato reso possibile nell’ambito di studi clinici.

Boom di ossigeno nelle terapie intensive (con buona pace dei negazionisti)
Secondo risultato: che le terapie intensive fossero molto più in affanno del normale lo conferma l’ incremento numericamente importante e statisticamente significativo di ossigeno, anestetici generali, sedativi e curari iniettivi (con effetto miorilassante), e di acido ascorbico iniettivo. I valori di variazione dell’uso di ossigeno nelle terapie intensive tra i periodi pre e post COVID-19, in relazione al numero di casi positivi sono stati omogenei in tutte le regioni.

Per quanti riguarda i costi? “Per tutti questi farmaci sono stati fondamentali i numerosi interventi per calmierare distorsioni distributive ed evitare fenomeni di accaparramento, così da garantirne la disponibilità omogenea e continuativa su tutto il territorio nazionale” si legge nel comunicato stampa di presentazione del rapporto.

Terapie oncologiche senza troppi scossoni
Terzo risultato: per quanto riguarda l’utilizzo dei farmaci per le malattie croniche in regime ospedaliero, in particolare l’uso di farmaci oncologici, si evidenzia la sostanziale stabilità dei consumi fra periodo pre-COVID e post COVID, che significa che anche nelle situazioni più gravi, in media, al netto delle singole storie di situazioni di disagio, che non mancano, siamo riusciti a garantire la maggior parte delle terapie ai malati di cancro.
Le maggiori differenze regionali fra periodo pre e post pandemia si registrano invece per gli antibiotici, per gli antivirali HIV e per gli ipnotici e i sedativi.

Nella parte del sito di AIFA dedicato al rapporto sono disponibili le slides dei relatori che hanno partecipato alla presentazione del Rapporto.

Nella prossima puntata racconteremo quanti e quali farmaci abbiamo acquistato in farmacia durante il lockdown.

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