Una conversazione con un cliente potenziale durante una fiera, un invito a pranzo, le visite presso la sede con i dipendenti alle scrivanie, una riunione in una sala affollata, i meeting preparatori e quindi la firma di un contratto d’acquisto. Questo poteva essere il tipico percorso di marketing, dall’acquisizione del prospect fino alla finalizzazione dell’ordine, soltanto lo scorso anno.
A partire da marzo, tutte le imprese si sono trovate nella condizione di dover accelerare i processi digitali, sia quelli interni legati all’home working, sia quelli esterni correlati alla necessità di dematerializzazione dei rapporti con i clienti. Tuttora non si ha certezza di quando si potrà tornare alla situazione precedente, né, probabilmente mai ci si tornerà in modo integrale. Cancellati i pregiudizi, i vincoli e le resistenze nei confronti del digital change, i manager più lungimiranti hanno avuto e hanno tuttora la possibilità di schiacciare a fondo l’acceleratore sulla trasformazione delle imprese.
Un dato significativo lo si può ricavare dalla rilevazione dello Shopping Index di Salesforce, l’indicatore che misura l’andamento del commercio elettronico nel mondo. “Nel secondo trimestre dell’anno, la crescita del valore è stata del 71% rispetto allo stesso periodo del 2019” afferma Maurizio Capobianco, Senior Regional Vice President Commerce Italy, Iberia & Switzerland di Salesforce, “quando solitamente, i grandi aumenti di traffico, ad esempio durante i periodi di festività, portano ad un minore tasso di conversione. Non è però stato così tra aprile e giugno. In quei mesi a fronte di un aumento del 37% del traffico digitale, i tassi di conversione hanno raggiunto il 3% a livello globale, in aumento del 35% rispetto all’anno precedente. Un chiaro segnale del cambiamento delle abitudini degli acquirenti”.
La percezione diffusa è che questo nuovo comportamento, negli acquisti così come nelle relazioni digitali con i brand, abbia così profondamente coinvolto tutti i consumatori che sia destinato a rimanere. Coloro che provano il canale digitale o che ne incrementino l’uso o allarghino il range di prodotti e servizi acquistati online, difficilmente torneranno alle abitudini consolidate come se questa fosse stata solo una spiacevole parentesi. Le esperienze d’acquisto soddisfacenti saranno ripetute, e questo non fa altro che consolidare il break culturale: più aumentano persone che affluiscono nella sfera dell’acquisto digitale, più la “contaminazione” raggiungerà un maggior numero di acquirenti.
Una testimonianza del settore viene da Illy, azienda leader nella produzione e commercializzazione di caffè, che ha registrato un incremento più che significativo di nuovi clienti, che hanno cercato online il prodotto che prima trovavano il prodotto al bar o sugli scaffali dei supermercati. L’azienda di Trieste ha anche notato contemporaneamente un aumento della retention dei nuovi clienti acquisiti, un dato in linea con la loro strategia digitale sulla loyalty della customer base.
Se per quanto riguarda il segmento del Business to Consumer gli esempi sono più immediatamente identificabili, anche per il Business to Business la strada segnata è quella di una progressiva dematerializzazione dei del customer journey.
Sul ruolo dell’e-commerce, l’opinione di Matteo Ceccarini, Global Digital Transformation Director & EMEA Information Technology del Gruppo Fontana, azienda leader globale nel settore dei fasteners, spiega l’importanza del canale digitale anche in questo settore e quanto sia stata determinante durante il lockdown: “Il caso ha voluto che in Europa fossimo partiti con la nostra nuova Business Unit Fast Trade e avessimo reso disponibile la nostra piattaforma di eCommerce B2B proprio alla fine del 2019 quindi poco prima del lockdown. Ciò ha rappresentato un vero e proprio salvagente non solo per noi ma anche per i nostri clienti Commercio ed Industria di FastTrade – Business Unit di Fontana Gruppo – che nel mondo non si sono mai fermati. Certo, approvvigionarsi in questa modalità non è semplice e immediato per tutti. Da parte di alcune aziende ciò ha rappresentato un ostacolo ma la situazione che stiamo vivendo, velocizza anche il superamento di alcune barriere culturali e facilita la digitalizzazione dei processi.”
Per le aziende, soprattutto le piccole e le medie della manifattura, il fattore chiave è l’integrazione tra la fabbrica e il mercato, ossia far dialogare la dimensione digitale del marketing funnell da un lato e quella della industry 4.0 dall’altro. La piattaforma di e-commerce diventa quindi lo strumento di dialogo e la chiave per spalancare le porte che separano gli uffici commerciali, il magazzino e la produzione.
Questi processi, in un contesto italiano ancora frammentato, necessitano di due fattori abilitanti. Da un lato vi è quello della “mentorship”. Le aziende medio-grandi hanno anche il compito (oltre che l’interesse) di sostenere e permettere lo sviluppo della propria filiera, cercando di far superare la tradizionale fragilità digitale della loro supply chain, composta talvolta da fornitori di eccellenza e spesso critici in ottica di business, ma con difficoltà dimensionale ad abbracciare in modo compiuto la trasformazione digitale.
Dall’altro, inoltre, vi è un bisogno di competenze: colmare il gap di skills digitali, a tutti i livelli, ha bisogno di un forte intervento anche culturale che non può essere demandato da solo né alla tecnologia, né alle istituzioni ma richiede alle aziende più dinamiche di essere leader del cambiamento, anche nei confronti dei propri stakeholders.
Certamente, passato questo difficile periodo di crisi sanitaria, il piacere di frequentarsi nelle fiere, di fare visite e meeting di persona tornerà: i rapporti umani non saranno cancellati dall’intermediazione digitale: e tuttavia, se adeguatamente capitalizzati, resteranno processi più efficienti, taglio dei tempi e dei costi, migliore conoscenza dei clienti e dei loro bisogni, migliore soddisfazione di questi. Un balzo in avanti che ci permetterà di trarre almeno qualcosa di buono da questo difficile periodo.