Cos’hanno in comune Sfera Ebbasta, Gué Pequeno, Marracash e Charlie Charles -praticamente quasi tutto l’arco costituzionale della musica urban tricolore – con Immobiliare.it, il portale al quale tutti i mesi si collegano 30 milioni di italiani che vogliono vendere o comprare casa? La risposta è Soundreef, prima collecting privata del mercato del diritto d’autore italiano, nata da un’idea dello startupper romano Davide D’Atri e giunta agli onori delle cronache a partire dal 2015, quando mise sotto contratto Fedez e ingaggiò un duello – in sede legale e non solo – con Siae.

Il catalogo autori di Soundreef si arricchisce infatti con nuovi innesti, tutti appartenenti alla galassia rap/trap: oltre a Sfera Ebbasta, Gué Pequeno, Marracash e Charlie Charles, ci sono anche Shablo, Ernia, Rkomi, Fsk Satellite, Drefgold, Samurai Jay, Daves the Kid, Rosa Chemical, FishBall, Sac1 e Ackeejuice Rockers. Nomi che vanno ad aggiungersi a quelli dei producer Takagi & Ketra, dell’autrice multiplatino Federica Abbate, di Danti dei Two Fingerz e dei Boomdabash, annunciati una manciata di giorni fa. Poi i nomi storici di Enrico Ruggeri, Fedez, J-Ax, Rovazzi, Gigi D’Alessio, Giancarlo Bigazzi, Maurizio Fabrizio, Fortunato Zampaglione, Nesli, 99 Posse e Noyz Narcos. La società presente nel registro pubblico dell’Intellectual Property Office del Regno Unito gestisce, insomma, al momento i diritti di oltre 39mila autori ed editori di cui 22mila italiani e opera direttamente o attraverso accordi di rappresentanza in 88 paesi. Realizzando una raccolta che nel 2019 si è attestata sui 18 milioni e dando lavoro a 50 dipendenti e 40 agenti.

Non poche le novità, in casa Soundreef, anche per quanto riguarda il pacchetto azionario: durante i mesi del lockdown la società è stata infatti oggetto di un nuovo aumento di capitale da complessivi 6 milioni, a seguito del quale gli azionisti Immobiliare.it e Vam Investments salgono ciascuno a una quota del 36%, mentre il resto del pacchetto azionario resta in mano a D’Atri e agli altri soci fondatori. «Dopo gli anni pionieristici della battaglia per l’affermazione del libero mercato del diritto d’autore in Italia – sottolinea D’Atri – siamo in una fase tutta nuova, di consolidamento e crescita. Il caso vuole che coincida con un momento senza precedenti per il Paese come l’emergenza sanitaria da coronavirus. E nel momento più difficile della crisi, i mesi del lockdown, i nostri azionisti hanno dato prova di credere in questo processo di sviluppo con un nuovo aumento di capitale».

Le nuove acquisizioni di autori, secondo lo startupper, sono il segno del nuovo ciclo. «Se prendiamo la top 15 dell’estate scorsa, – sottolinea con orgoglio – troviamo dieci artisti, tra interpreti, autori e produttori, riconducibili a Soundreef». I contratti di Sfera Ebbasta, Gué Pequeno, Marracash e Charlie Charles avranno vigore dal primo gennaio 2021, dureranno un anno e hanno una particolarità: riguardano soltanto il segmento online del diritto d’autore. «Dettaglio molto importante», secondo D’Atri. «Una volta liberalizzato il mercato, registriamo una specie di rivoluzione culturale tra gli autori. Non scelgono a occhi chiusi la collecting cui affidarsi, ma puntano su questo o quel determinato player in base ai segmenti di raccolta in cui questo o quel determinato player risultano più forti. E noi sull’online, dove facciamo il 100% di analitico, siamo davvero fortissimi. Registriamo insomma anche qui un atteggiamento tipico da mercato libero che non fa altro che stimolare la concorrenza tra gli operatori. Ce n’è voluto, ma anche in Italia siamo riusciti a innestare questa mentalità».

In ogni caso, la liberalizzazione del diritto d’autore imposta dalla Direttiva Barnier secondo il fondatore di Soundreef è ancora un processo incompiuto. «Ci sono ancora tre temi su cui il legislatore non è intervenuto. Innanzitutto il fatto che la liberalizzazione, in Italia, riguardi soltanto soggetti no profit, poi la questione dell’ultimo miglio e dei report degli utilizzatori. È assurdo che ancora non si sia provveduto all’istituzione di un soggetto terzo che raccolga report ed effettui verifiche per conto di più collecting. Una svolta all’insegna della trasparenza che ci metterebbe a riparo da contenziosi che, qui da noi, ormai sono una tassa occulta. Vinciamo tutte le cause, ma perché dobbiamo continuare a farne, quando la dottrina europea, in materia, è più che mai chiara? Portiamo a termine il processo. Soprattutto nell’interesse degli utilizzatori», conclude D’Atri.